Può l’essenziale divenire visibile agli occhi?

06.05.2020

Due mesi sono trascorsi dall'inizio del lockdown ed ora abbiamo iniziato a vivere questa discussa e tanto attesa "fase 2". Due mesi di restrizioni, limitazioni e isolamento sociale che, già di per sé, inducono alterazioni comportamentali e reazioni psicologiche piuttosto evidenti e, con tutta probabilità, se ne vivranno gli effetti per diverso tempo ancora. L'arrivo di questa epidemia ha evidenziato reazioni in ciascuno di noi, diversificati a seconda anche dell'esperienza più o meno ravvicinata con questo virus. Reazioni riconducibili alla rielaborazione di esperienze traumatiche: dalla negazione e sottovalutazione al rifiuto e colpevolizzazione, dall'euforia e iperattivazione alla tristezza e depressione. Non sono così mancati commenti e atteggiamenti tipici della nostra società individualista dove vige l'affermazione del sé e la libertà di pensiero che, purtroppo, molto spesso prevalgono anche sul buon senso: ognuno ha espresso la sua opinione e ha dispensato consigli su come sopravvivere a questa prima fase, dai professionisti nei vari campi della salute e dell'informazione ai "tuttologi" improvvisati esperti e al cittadino qualunque che, in nome della difesa di se stesso e della propria salute, non ha mancato di dire la sua o di denunciare vicini o chiunque trasgredisse, non tanto alle regole più o meno imposte ma, al contrario, a quelle regole che ognuno tende a fare e a decidere per sé. Fortunatamente non sono mancati anche esempi di grande resilienza e di persone che hanno tentato di esprimere forza e incoraggiamento sostenendosi l'un l'altro, mostrando che il benessere di tutti e della collettività ha ancora valore.

Con l'ufficialità della fase 2 le reazioni traumatiche non sono venute meno, al contrario ho avuto la percezione che si siano acutizzate. Molto forti sono stati gli atteggiamenti di rifiuto, di non accettazione, di colpevolizzazione e di denuncia, probabilmente perché le aspettative e le speranze di una maggiore apertura e libertà sono state disattese e l'effetto traumatico precedente si è esasperato. Ancora una volta ognuno, dalla sua prospettiva autocentrata, si è improvvisato esperto nel dire come dovrebbe essere diversamente affrontata questa fase limitandosi, quindi, a porre l'attenzione su ciò che non è permesso e su ciò che viene limitato piuttosto che su ciò che è ancora possibile realizzare. In altre parole, si guardano i limiti piuttosto che le potenzialità, senza cogliere l'opportunità di poter mettere in campo una dose di creatività e di novità che potrebbe essere utile e proficua nel futuro, generando un salto in avanti nelle nostre professionalità e nella nostra quotidianità. Ma come ben si sa "fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce"!

Ecco allora che, forse, dobbiamo davvero tornare all'essenzialità, a quella essenzialità che, purtroppo, ai molti "è invisibile agli occhi"! Abbiamo bisogno, senza esserne pienamente consapevoli e capaci, di vivere il senso del "noi" che non nega l'esistenza dell'io ma con cui va a braccetto; quel "noi", però, che non corrisponde solamente alla mia famiglia o ai miei amici ma che abbraccia l'intero genere umano. Ora più che mai ci è necessario riscoprire, o anche solo ricordare, ciò che ci ha motivato nel passato a fare determinate scelte, lavorative e non, e trovare nuove e fantasiose vie per realizzarle.

Riusciremo quindi ad uscire indenni da questa travagliata fase 2 solo se arriveremo a recuperare una visione eterocentrica e comunitaria, tipica della mia tanto amata cultura africana dove "per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio".


"Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo." (Piccolo Principe)

copyright 2017     Studio privato di sostegno psicologico e psicoterapia Elena Fioraso
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